Di Rodolfo Zanni, non è stata trovata alcuna partitura orchestrale ed è quindi stato chiesto a me di curarne la ricostruzione: ho lavorato su quattro brani minori, composizioni per canto e piano o pianoforte solo, nate per orchestra ma ridotte al pianoforte dall’autore. Le uniche fino a oggi ritrovate.
Com’è noto, l’orchestrazione consente al compositore di dare alla propria musica una veste strumentale e, se egli non ne lascia una traccia annotata, si deve cercare di immaginarla o di recuperarne gli intenti fra i suoi scritti epistolari; fortunatamente, Rodolfo era stato anche critico musicale, quindi, mi è stato possibile conoscere il suo «pensiero orchestrale», tramite le sue stesse parole.
La sua musica rispecchia esattamente il senso estetico e retorico con cui costruisce, decora e rende fruibile il suo pensiero musicale; il suo modo di esprimersi con le parole, svela l’arte di combinare suoni e timbri insita in lui. Mi spiego meglio: le critiche di Zanni, rivolte ai lavori dei compositori maggiori di area europea e dei suoi contemporanei argentini, sono sempre tecnicamente attente e sorrette da un linguaggio accademico forbito e sintatticamente eccellente. Esse erano piuttosto taglienti ma mai esagerate, gratuite o incoerenti; chi volesse controllarle una a una, troverebbe dei riscontri oggettivi, parola per parola, nelle composizioni che prendeva in esame. Per esempio, posso citare quella rivolta alle opere dei compositori cileni Huberto Allende, Alfonso Leng, Prospero Bisquert, Celerino Pereira, agli italiani Sgambati, Sinigaglia, Platanìa, agli argentini Schiuma e Maurage (con la sua opera Tupac) e ai suoi contemporanei sgraditi per cui scrive l’imponente articolo «Musica al presente», pubblicato sulla rivista «Orfeo», fondata da Gilardo Gilardi. In questi articoli si specificano gli usi dei gruppi strumentali fin nei minimi dettagli, dei cori e delle parti solistiche vocali, della timbrica derivata dall’uso parziale o totale delle varie sezioni, del peso o della leggerezza dovuta alla distribuzione delle parti armoniche o contrappuntistiche, più o meno pedisseque: troppo negli archi e troppo poco in dialogo concertato con i fiati o con le concitate percussioni.
Stupisce il fatto che il suo incarico di critico gli sia stato assegnato alla verde età di sedici anni e che il bambino prodigio, all’epoca appena adolescente, non abbia dato adito ai suoi detrattori di accusarlo di millantato credito. Diciamolo per esteso chi era Zanni: un pianista eccellente fin dalla tenera età, un direttore d’orchestra rinomato, un compositore raffinato e un critico musicale incontestabile.
Stupisce, altrettanto, il fatto che egli si dovesse distinguere fra altri ex bambini prodigio: Leng, Maurage, Sgambati, per esempio, lo erano e sono solo alcuni dei molti (stranieri, oriundi o cittadini onorari) che si distinsero in Argentina.
In ogni caso, leggendo i suoi testi e le sue composizioni, possiamo renderci conto di una molteplicità di fatti: conosceva profondamente la voce umana; era perfettamente consapevole della tecnica dei singoli strumenti; era lucidamente e sapientemente cosciente della difficoltà del direttore d’orchestra nella conduzione e concertazione delle parti. Non solo, oggettivamente Zanni aveva l’orecchio teso anche alla sala e che sapeva leggere nel cuore e nella mente del pubblico. Tutto ciò di cui si ha traccia, è scritto, composto e riferito con estrema perizia, specie ricordando che è morto a ventisei anni appena compiuti.
Zanni sa cosa scrivere e come scrivere, quindi, anche nella versione per canto e pianoforte o per pianoforte solo, la struttura musicale essenziale non manca e il brano non ne è penalizzato; anzi, anche l’orecchio di un musicofilo sensibile, può distinguere le sonorità orchestrali insite nel brano.
Per sintetizzare: